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Ricette per il sorriso

COTTO&MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA

Molti anni dopo, di fronte alla stazione delle corriere, mi sarei ricordata di quel remoto pomeriggio in cui il destino mi aveva condotta a prendere l’autobus numero 31.

In quella gelida mattina di febbraio la città era ancora spiegazzata dal freddo e non c’era molto da dire né da fare. Solo stringersi nella grande sciarpa di lana rossa sperando che quel bus arrivasse in fretta. Quando le ossa stavano per cedere alla morsa dell’inverno, il bisonte arancione comparve dietro la curva. “Speriamo ci sia posto a sedere”, pensai. Poi le porte si aprirono e mi buttai nella mischia. Tra la giungla di braccia appese, scorsi un sedile libero. Mi feci largo tra i cappucci bagnati e guadagnai quel quadrato di plastica come si conquista la più agognata delle mete: esausta ma felice. Non feci in tempo ad esultare che mi raggiunse una voce stridula dall’oltre tomba: “Lo zaino lo metta qui”. E appresso alle parole, come in uno schiaffone invisibile, mi piombò in faccia una zaffata di fetore da farmi quasi vomitare. Pensai che quel tanfo di topo morto fosse un problema delle fogne, qualcosa di decomposto che veniva da fuori. Ma la tipa parlò di nuovo e non ci furono dubbi: “Guardi – disse –, lo infili sotto al sedile”. Alla U di “guardi” ero già agonizzante. Abbozzai un sorriso di circostanza senza schiudere le labbra e correre il pericolo di respirare ancora quelle folate di putrefazione.

Ahimè, il silenzio non scoraggiò la signora con la falce in bocca. “Sta andando all’università, cocchina?”, chiese mostrando la dentiera gialla ed io, in un crescente stato d’apnea da far invidia a Maiorca, annuii ripetutamente con la testa per fare vento e contrastare l’avanzata di molecole letali che ad ampie falcate di fuoco stavano incenerendo lo spazio. Pregavo il buon Dio di zittirla, ma Dio, evidentemente, se l’era data a gambe levate per non sentire la puzza, perché Malagrotta iniziò a sproloquiare da sola. “Mio nipote è iscritto a Medicina, prenderà la specializzazione in ortopedia, è un così bravo ragazzo…”: una nuvola tossica si fissò attorno a noi e rimase a mezz’asta, come presagio d’apocalisse. I miei occhi non smettevano di implorare pietà, ma quella parlava, parlava, col cappellino di ciniglia sulle ventitré e la faccia protesa sempre più dal mio lato. In pieno stato di incoscienza, venivo attraversata da allucinazioni visive e uditive fin quando, a un passo dall’abisso, con un colpo di reni il mio istinto di sopravvivenza mi fece scattare in piedi. Aria. Avevo bisogno d’aria. Dovevo scendere subito. Che importava se questo significava farmi un’ora a piedi nella bora polare: meglio morire assiderata che asfissiata. Sventolando la sciarpa rossa in segno di libertà, a rischio della vita esclamai a pieni polmoni “Cazzo!” e mi feci varco verso l’uscita. Poi le porte per fortuna si aprirono e mi gettai sulla strada. Salva. Ero salva!

Nessuno seppe mai che ne fu delle persone che proseguirono il viaggio nel 31. Per quelli che sfidarono la peste spingendosi fino al capolinea, ne sono certa, non ci fu nulla da fare.

 

OGNI PERSONA CHE INCONTRI PER STRADA STA COMBATTENDO UNA BATTAGLIA CON LA FIATELLA. STAGLI ALLA LARGA PIÙ CHE PUOI. SEMPRE.


Gioia Morici

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