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Jesi Giovanni Ricci alla Lorenzini: il ricordo di Moro e dei suoi “compagni di viaggio”

«Mi ritengo fortunato, ho incontrato gli assassini di mio padre, da allora ho smesso di odiarli»

JesiAldo Moro e i suoi compagni di viaggio è il titolo della presentazione che Giovanni Ricci ha illustrato alle classi terze della scuola media Carlo Lorenzini in occasione dell’incontro organizzato dalla professoressa Eva Zannotti nell’ambito del progetto Legalità di educazione civica. Hanno partecipato all’iniziativa anche il corpo insegnanti e la dirigente scolastica Lidia Prosperi.

Giovanni Ricci è il figlio di una delle innumerevoli vittime del terrorismo politico degli anni ’70: il padre, Domenico, fu uno dei più anziani e fedeli agenti di scorta di Aldo Moro. Rimase ucciso il 16 marzo del 1978 insieme ad altri quattro colleghi allora in servizio, nel corso del rapimento di via Fani da parte di un commando armato delle Brigate Rosse, che portò al sequestro del grande statista e la sua successiva morte. Fatto che determinò la fine della strategia politica che va sotto il nome di compromesso storico tra la Dc e il Pci di Enrico Berlinguer.

Come un custode della memoria storica, srotolando la pellicola dei ricordi che riaffiorano, ancora lucidissimi, Giovanni Ricci ha raccontato agli 80 ragazzi presenti in aula che cosa sono stati gli anni di piombo, dalle stragi alle occupazioni studentesche, dalle forme della politica alla vita quotidiana di allora.

Attraverso un excursus che ha abilmente tenuto insieme guerra fredda, boom economico e organizzazioni terroristiche contemporanee – che sono il prima e il dopo dello stragismo italiano anni ’70 – Giovanni Ricci ha spiegato il senso o, viceversa, il non senso di concetti quali: legalità, violenza politica, desiderio di vendetta, democrazia.

«Erano anni complessi, per certi versi molto cupi ma comunque densi di novità ed entusiasmo». Al di là della paura e dell’eroina, l’altra “mietitrice di vittime“, gli anni ’70 sono stati desiderio di cambiamento, conquista dei diritti civili: di questo periodo, ricorda Giovanni Ricci, è lo statuto sul lavoro, la legge sul divorzio e sull’aborto, il superamento degli ospedali psichiatrici – proprio in questi giorni ricorrono i 45 anni della legge Basaglia .

Sul proiettore scorrono le foto sbiadite di Aldo Moro, i titoli dei giornali datati 16 marzo ancora scolpiti nella memoria di chi c’era. Moro padre costituente, Moro padre dei suoi studenti, Moro con la figlia Agnese, Moro gioca a palle di neve con Domenico Ricci. Corredata di volti e aneddoti curiosi, perfino la storia più remota si spoglia della sua fredda impersonalità e si anima di vissuti incredibilmente simili ai nostri.

«Mio padre – ricorda Giovanni – non era un eroe ma un uomo come tanti, che amava il suo lavoro e lo faceva con passione, con dedizione, così come fece Aldo Moro. Gli eroi siamo noi che viviamo onestamente, siete voi che venite a scuola ogni giorno, è il panettiere che si alza di notte per fare il pane. “Beati i popoli che non hanno bisogno d’eroi”, scriveva Bertold Brecht».

«Dopo tutto io mi ritengo fortunato: conosco i nomi degli assassini di mio padre e li ho incontrati nel 2012 – ha concluso Giovanni Ricci, raccontando del suo lungo e delicato percorso di pacificazione con il passato -. A un certo punto ho sentito il bisogno di guardarli in faccia, di chiedere loro perché. Da allora ho smesso di odiarli: nulla potrà cancellare ciò che hanno fatto ma nei loro occhi ho visto la consapevolezza di tutto il dolore inferto. La sola via che ci consenta di non rimanere inabissati in una spirale di odio e di dolore passa attraverso il perdono. E’ quello che chiamano giustizia riparativa».

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