Cronaca
JESI La Stella del Belcanto continuerà a brillare
12 Gennaio 2020
Giovanni Filosa traccia un ricordo di Giorgio Merighi, il grande tenore scomparso oggi: si conoscevano bene e su di lui aveva scritto anche un libro
JESI, 12 gennaio 2020 – Nel firmamento del belcanto si è purtroppo spenta un’altra stella. Giorgio Merighi, un “grandissimo” tenore, ci ha lasciato dopo una malattia che per anni lo ha fiaccato (leggi l’articolo).
Macchine da scrivere e arie d’opera
Non era nato a Jesi, ma a Denore, vicino Ferrara. Jesi arrivò poco dopo ma già il suo futuro di tenore era scontato. Mi raccontò che un giorno, coi suoi pantaloni corti, stava seduto sui gradini di una vecchia casa, e cominciò a cantare. Non si ricordò il motivo ma solo di un passante che si fermò e, dopo averlo ascoltato, gli disse: «tu da grande farai il tenore».
Con la famiglia, per motivi di lavoro, arrivò molto piccolo a Jesi e partecipò subito al coro dei bambini della cittadina che lo aveva accolto.
«Il ragazzo si farà», ricordate, e lui bruciò le tappe, studiò con don Giovanni Paccapelo e col Maestro Leondino Ferri, perché voleva “diventare tenore”. Jesi lo adottò e lui, pur lavorando in una ditta di macchine da scrivere, quando aggiustava le sue creature deliziava tutti con le sue arie d’opera.
Il debutto a Spoleto
A vent’anni era pronto al debutto, bello, alto, bravo. Debuttò giovanissimo al concorso di Spoleto, magari impaurito, ma come Riccardo ne “Un ballo in maschera” stracciò gli altri concorrenti e fece contenti tutti gli jesini che avevano riempito diverse corriere (ora bus) per fargli il tifo. Basta qui, all’apparenza. Studiò come un matto, i migliori teatri italiani si segnarono il suo numero di telefono. Aveva voglia di cantare e di palcoscenico.
Dal 1964, in Bohéme con Mirella Freni alla Scala, salpò. Lui, uomo di pianura e di collina, vide aprirsi le porte dei maggiori teatri del mondo. Tutto il mondo. La sua voce, limpida, cristallina, con un fraseggio che incantava, conquistò tutti.
“Fucilato” sul palcoscenico
Mi ha confidato un aneddoto che, ricordo, mi fece morir dal ridere anche se Giorgio mi gelò dicendo: «Potevo morire».
Raccontò:«A Buenos Aires mi volevano tanto bene che forse un giorno decisero di tenermi con loro … per sempre! Cantai Tosca e “E luceavan le stelle”, amavo Cavaradossi come me stesso, e mi accingevo a presentarmi davanti al plotone di esecuzione per simulare, al meglio, la mia fucilazione. Beh, allo sparo dei soldati, sentii come una botta in testa, la vista si annebbiò e le gambe mi si piegarono. Ero stato davvero “fucilato” sotto ad un occhio, chiaro per errore, e finii la mia tournée in ospedale, poi in pochi mesi mi ripresi, ma che paura!».
L’amore per Jesi
Giorgio amava Jesi, visceralmente, anche se ha cantato in tutto il mondo ed era considerato uno dei migliori in circolazione, tornava spesso, ricoprendo anche il ruolo di direttore artistico, dal 1992 al 1994, del Teatro Pergolesi. ( leggi l’articolo)Ricordo tutte queste cose perché lo incontravo ogni tanto, l’ultima volta sono andato a casa sua tre o quattro anni fa.
Era indimenticabile, come persona e come artista. Al Teatro, all’Opera, ha letteralmente dato tutto. Ho scritto su di lui anche un piccolo libro, intitolato “L’uomo con la valigia – trent’anni di lirica per il mondo”, nel suo anniversario, un libro destinato ad una cerchia ristretta di persone, non per scelta mia personale. Non mi importa quante opere abbia cantato, se abbia dato il meglio di sé con Puccini, con Verdi, Donizetti.
Mi dispiace che se ne sia andato, a quasi ottantuno anni, un uomo indimenticabile. Un grandissimo della nostra scena lirica. Abbraccio i suoi con tanto affetto.
Giovanni Filosa
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