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Cronaca

Jesi Marco Pozzi, il chirurgo dei bambini va in pensione

Una vita al servizio dei più piccoli e di impegno nel sociale: «Ai pazienti serve la tecnica ma anche tanta umanità», la sua passione per le foto e l’arte in genere

Jesi – Una vita in mezzo ai bambini, dedicata ai piccoli pazienti e alle loro famiglie, Marco Pozzi, ex primario e direttore del Dipartimento di cardiochirurgia e cardiologia pediatrica dell’ospedale di Torrette va in pensione.

Professionista che al talento unisce quella dose di empatia certificata dalle numerose testimonianze d’affetto di pazienti e amici che sui social non smettono di lasciare commenti commoventi e ringraziamenti per i cuori curati non solo con la tecnica ma anche con l’umanità di chi sa esserci.

Marco Pozzi


A Jesi lo si conosce anche per la sua vena artistica e la passione per il teatro e le arti in genere, da circa 2 anni infatti, collabora con la Fondazione Pergolesi Spontini per vari progetti in cui si è cimentato nella veste di fotografo, ma anche per le numerose iniziative benefiche portate avanti con il Rotary Club di Jesi, come il progetto di Telemedicina e i viaggi umanitari negli ospedali più poveri in giro per il mondo.


In lei si coniugano professionalità e precisione ma anche creatività e passione per l’arte, come riesce a conciliare questi due aspetti così diversi tra loro?

«In realtà non li ritengo così distanti, anzi. La tecnica e le regole in medicina non vanno molto lontano se non sono sostenute dall’immaginazione. Le variazioni anatomiche dei pazienti sono così ampie che spesso di fronte a un problema da risolvere è necessario un buon grado di immaginazione per ipotizzare la soluzione più adatta a quella persona».


«Di solito si cerca sempre di prepararsi prima dell’intervento agli scenari possibili che potremmo trovare e alle relative soluzioni da applicare, ma vi assicuro che ci sono situazioni che sfuggono a qualsiasi previsione e allora ecco che avere la creatività di inventarsi un’alternativa, in quel momento può salvare una vita, è fondamentale».


«Le stesse tecniche chirurgiche hanno sviluppato negli anni soluzioni altamente creative, quindi la scienza non è così lontana dalla creatività, anzi».

Marco Pozzi a Raipbur in India per un progetto del Rotary Club


«Inoltre, sono convinto che la passione per l’arte e la cultura si colleghi anche a un umanesimo e a una sensibilità di fondo, che sono fondamentali per stabilire una relazione emotiva con i pazienti e con i familiari. Nel momento della malattia i pazienti hanno bisogno più che mai di sentire la presenza del medico, non solo come esperto della tecnica ma anche come persona sensibile al loro stato d’animo».


«In effetti anche nelle mie foto cerco sempre di ritrarre i soggetti, di raccontare la loro vita la passione che mettono in quello che fanno, l’impegno sociale degli operatori, come nel caso di “Opera H”, che sconfina nell’umanità andando ben oltre il semplice lavoro. Ecco, nel mio percorso professionale ho sempre cercato di fare questo, di relazionarmi in modo molto diretto con i pazienti».

Marco Pozzi in India per collaborare con l’ospedale pediatrico di Raipbur – progetto Rotary


Un percorso professionale che l’ha portata a lavorare in Italia ma anche molto all’estero, ci racconti.
«Dopo la laurea, nell’81 ho acquisito l’abilitazione per esercitare, cimentandomi fin da subito nella cardiochirurgia. Per quattro anni sono rimasto a Milano. Ma ho capito ben presto che lavorare in Italia non era facile, soprattutto sentivo l’esigenza di mettere alla prova le mie capacità in un luogo non in cui contassero il cognome o le conoscenze, ma la professionalità e il talento».


«Così ho deciso di trasferirmi in Inghilterra, nell’86 sono andato a lavorare a Londra per 1 anno, poi mi sono spostato in Germania dove sono rimasto per 3 anni, poi ho fatto ritorno in Inghilterra, stavolta a Birmingham, per circa due anni e mezzo. Nel corso di queste esperienze ho avuto la possibilità di lavorare sempre nella cardiochirurgia pediatrica, confrontandomi con professionisti di alto livello. Dopodiché mi sono trasferito in modo più stabile all’ospedale di Liverpool, in cui mi hanno offerto l’incarico di primario, avevo 36 anni».


«Un sogno che si realizzava, la mia ambizione in effetti era di diventare primario a 45 anni ma quando ne parlavo con i colleghi italiani, tutti mi snobbavano come se fosse un progetto irrealizzabile. Ma all’estero è la meritocrazia che conta e ho potuto davvero mettere in campo le mie capacità».


«Sono rimasto a Liverpool dal ’92 al 2008, anno in cui mi sono trasferito all’ospedale di Torrette di Ancona. Già nel 2005 una delegazione di Torrette era venuta da me proponendomi l’attività di consulenza con l’ospedale dorico e avevo iniziato a operare anche lì, spostandomi ogni due settimane, con interventi organizzati su tre giorni. Ma non ho mai amato le collaborazioni a distanza perchè ritengo che non siano funzionali per una progettualità a lungo termine».


«Fino a quando mi proposero di mettermi a disposizione il reparto di chirurgia pediatrica, a cui avrei potuto dare la mia impronta e il tipo di organizzazione che volevo».


«Così sono tornato in Italia, a Torrette abbiamo dato vita al reparto creando un gruppo di lavoro estremamente coeso, a cui mi sono legato professionalmente e affettivamente, tanto da decidere di non andarmene anche quando alcune situazioni organizzative ed economiche sono cambiate».


«Ora ritengo che non ci siano più le condizioni di lavoro idonee per continuare e ho scelto la strada del pensionamento che sarà effettivo da febbraio, anche se attualmente non sono più in servizio, sto consumando i giorni ferie».


I messaggi di affetto dei pazienti e delle famiglie che ha seguito in questi anni e le esprimono gratitudine sono tantissimi e credo che siano tutti curiosi di saperlo: che cosa farà adesso?


«Mi sto preparando al periodo della pensione. I progetti da proseguire e quelli nuovi da realizzare sono tanti. Prima di tutto manterrò la vicinanza alle famiglie dell’Associazione Un battito di Ali, alla quale sono molto legato, poi proseguirò a sostenere i progetti del Rotary Club, in partenza c’è proprio un’iniziativa presso un ospedale per bambini cardiopatici in India a cui offriremo un percorso di formazione rivolto al personale sanitario in collaborazione con il Roi – Raggruppamento osteopati italiani, per insegnare loro le tecniche di osteopatia e fisioterapia utili con i bambini e metteremo a disposizione 3 osteopati al mese per sei mesi».

«Poi c’è anche il progetto di Telemedicina che si è evoluto, grazie alla collaborazione con lo Iom e con il dott. Guglielmo Cherubini, non solo coinvolgendo i medici di base che hanno la possibilità di monitorare le condizioni di salute dei pazienti più fragili direttamente da casa ma anche collegando questi dati con alcuni reparti dell’ospedale “Carlo Urbani” come quelli di cardiologia, pneumologia, dermatologia, otorinolaringoiatria».


«Negli ultimi mesi si sta evolvendo anche la collaborazione con il Comune di Jesi e l’Università Politecnica delle Marche sul fronte ambientale per la salvaguardia degli impollinatori e la sensibilizzazione della comunità su questo tema, promuovendo varie iniziative, tra cui quella al Parco del Vallato».


«Poi continuerò con la mia passione per le foto e a collaborare con la Fondazione Pergolesi Spontini . In questi giorni sono impegnato negli scatti alle prove dell’opera lirica Così fan tutte, mi piace ritrarre i soggetti e il lavoro di preparazione che c’è dietro allo spettacolo».


Quindi non opererà più? Neanche come consulente esterno?

«La mia scelta è definitiva. Ma molto volentieri farò da consulente a colleghi cardiochirurghi su tecniche di intervento se, come credo, ci sarà l’occasione. E’ commovente la vicinanza delle famiglie che mi scrivono e mi contattano dopo questa mia scelta, testimoniando un affetto che non immaginavo e per cui mi sento molto grato».

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