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Cupramontana Renato Borsoni, un grande del panorama culturale

Al Concordia la mostra “Traiettorie sospese fra grafica e teatro” dedicata allo scenografo, attore, regista: uno degli artisti più eclettici che il Novecento abbia partorito

Cupramontana – Bene ha fatto la sua Cupramontana a ricordare il suo Renato Borsoni, uno degli artisti più eclettici che il Novecento abbia partorito. Ma come, a Cupramontana?

Vi racconto, in coda all’articolo, la sua vita, se avrete la pazienza di seguire. Quando lo avrete fatto, vi accorgerete, cari 25 lettori affezionati, che Cupramontana possiede una mostra al Teatro Concordia, intitolata “Renato Borsoni: traiettorie sospese fra grafica e teatro” che è indispensabile visitare.

Almeno fino al 27 agosto. Foto, tracce, disegni, pensieri, manifesti, traiettorie di verità e di vita, una vita che nasce per poi dispiegarsi sotto le lenti di un cannocchiale che mostra il presente e il futuro.

Dell’arte, soprattutto, anche quella si nasconde fra gli spettacoli che racconta e che ha contribuito a creare come scenografo, attore, regista. Il teatro è teatro. Bene hanno fatto la famiglia, Camilla in particolare, l’Amministrazione comunale di Cupramontana, il sindaco Enrico Giampieri e la Fondazione della Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, a volerlo ricordare come si deve a un grande del panorama culturale.

Fra quelle colline Renato Borsoni aveva scelto il suo ritiro, dove invitava amici e non solo, a leggere brani dei suoi libri, a chiacchierar di teatro e delle nostre colline che potrebbero essere quinte naturali per ogni messa in scena.  Renato Borsoni me l’ha fatto incontrare il Teatro, che è non solo quell’insieme prima di pietre, poi di assi, poi di carrozzoni che percorrevano strade sconnesse per raccontare eroi, divinità e malandrini.  E’ vivo da migliaia di anni e non si fermerà mai. Da quando scendeva il sole dietro le colline, in Grecia, in Siria, in Sicilia, col lume fioco delle torce ad illuminare interpreti, cori, gli dei che lanciavano fulmini ed Ecuba, Paride, Priamo, Ifigenia recitavano, raccontavano l’umana disumanità, il Teatro è la magia più grande che l’uomo abbia inventato per ribellarsi ai suoi démoni. Nell’antichità una polis senza teatro sarebbe stata inconcepibile. 

Nel giugno del 2003 ero al teatro greco di  Siracusa, c’era il “Prometeo incatenato” di Eschilo, regia di Luca Ronconi, con Franco Branciaroli, che prometteva meraviglia anche tecnologiche. Ero proprio seduto in prima fila. Con la coda dell’occhio, vedo accanto a me un personaggio senza età, il cui profilo sembrava schizzato velocemente da un artista che non impiega molto a dare anima a un viso. Abbiamo parlato insieme a lungo, non solo del Pergolesi e del “Prometeo”, siamo andati via, con le nostre rispettive compagne, e da quella sera, non so perché proprio io, ho raccontato decine di volte, con articoli nati fra telefonate, incontri, chi e cosa sia stato Renato, come sia stato regista, scenografo, attore, direttore artistico, pittore, scrittore e poeta, sicuramente grande testimone del nostro mondo culturale, interprete operante del nostro sapere.

Lo definii, una volta, “un uomo che ha attraversato tante avventure ed il cui volto, arricchito da un ghigno di sfrontata ironia, era solcato da mille rughe trasversali, segno delle battaglie che ha combattuto contro grettezza e ignoranza, di fronte alle avversità della vita”.

L’ultima volta ci siamo visti nel 2014 alla fattoria “La distesa”, vicino all’Eremo dei Frati Bianchi, sotto Cupramontana, dove aveva radunato i suoi amici che voleva accanto a sé quando scendeva per le vacanze, per presentare il volumetto “Un pirata allo specchio” e leggerci alcuni brani in cui si parla e racconta, anche, di quadri e di artisti che hanno arricchito la sua casa, da Bartolini a Bartocci, da Batocco a Bartoli e via così.

Ci raccontò  anche del suo teatro, della gente che ha creato e incontrato, e ci ha lasciato poi andare via, verso il tramonto agostano, col suo libro e la sua dedica nella tasca. L’ho aperto e l’ho letta a casa, c’era (c’è) scritto: “A Giovanni, mio biografo ufficiale, in tutta amicizia, Renato”. Come si fa a non volergli sempre bene? 

Renato Borsoni nacque nel 1926 a Santa Maria Nuova, nel ’35 la famiglia si trasferisce a Jesi: qui frequenta il Liceo Classico fino alla maturità, nel 1944. Si iscrive al Politecnico di Milano, frequenta circoli culturali e ambienti teatrali, apre a Brescia uno studio di grafica, partecipa alla nascita della cooperativa del Piccolo Teatro della città di Brescia (1953), si sposa con Marisa Germano, attrice. Punto di riferimento di Valeria Moriconi, è uno dei sette fondatori della mitica Compagnia della Loggetta che guiderà fino alla trasformazione in Centro Teatrale Bresciano, di cui sarà direttore fino al 1988, anno delle sue dimissioni per protesta contro il cinismo della lottizzazione.

Nella sua autobiografia “Fiezze scomposte”, trovi pagine intense di memorie e di affascinante letteratura a testimoniare un lungo percorso dentro le vicissitudini e le passioni della vita, prima fra tutte il teatro, di cui Renato Borsoni è stato autorevole esponente. Non mancano riferimenti a Jesi, a Cupramontana, alle Marche, realtà nelle quali Renato Borsoni ha conservato rapporti profondi e vissuto esperienze significative, specie nell’ambito teatrale.

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