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Cronaca

Jesi «Paul è di nuovo a casa», il senzatetto del Boario ritorna in famiglia dopo 7 anni

«Una carità 2.0, una professionalità che non si improvvisa», Caritas, Asp 9 ed Ast insieme per la rete di assistenza al quarantenne del Ghana

Jesi – Una storia di fallimento ma anche di rinascita, almeno così ci auguriamo che possa essere, quella di Paul Gyabiat, 40enne originario del Ghana.

Molti di noi possono averlo visto campeggiare sotto la tettoia del Campo Boario, dove ha trascorso molte nottate, anche quelle quelle più gelide, o girare vicino ai supermercati del quartiere Prato o a San Giuseppe.

Negli ultimi sette anni Paul ha vissuto nel nostro territorio spostandosi principalmente qui a Jesi, senza fissa dimora, sotto l’occhio vigile dei Servizi sociali dell’Azienda sanitaria territoriale, dell’Asp Ambito 9 e della Caritas Jesi.

Marco D’Aurizio, Franco Pesaresi, Samuele Animali, Gianfranca Schiavoni, il team di Caritas: Gabriele , Laura e MariaLaura

Attori di un iter burocratico e di assistenza che hanno cercato di costruire intorno a lui una rete di aiuti, prima per provare a inserirlo nel tessuto sociale poi per risolvere i suoi numerosi problemi tra cui la dipendenza dall’alcol, che non è mai riuscito a sconfiggere a causa di uno spirito ribelle e di un carattere sopra le righe, fino a condividere un percorso di consapevolezza che lo ha portato a scegliere di tornare a Kranka il villaggio vicino a Techiman, in Ghana, dove vive la sua numerosa famiglia.

Un rimpatrio che ha visto movimentarsi una macchina burocratica enorme gestita da un lavoro di squadra tra i volontari della Caritas, i dirigenti Asp, l’Amministrazione comunale e gli psicologi dell’Ast del Servizio dipendenze.

La Caritas in viaggio con Paul

«Circa 3 anni fa avevamo provato la strada del rimpatrio assistito – ha spiegato il diacono Marco D’Aurizio, direttore di Caritas Jesi -, purtroppo non avevamo ottenuto il consenso. Così ci siamo messi al lavoro per studiare una nuova strategia e consentire a Paul di fare ritorno a casa. E’ stato un iter davvero complesso, a partire dalle pratiche burocratiche per ottenere i documenti necessari all’espatrio, fino alla pianificazione del viaggio suo e nostro per accompagnarlo, alla gestione dei contatti con la famiglia per cercare di capire se l’ambiente che avrebbe trovato al suo ritorno sarebbe stato accogliente e soprattutto in grado di assisterlo nelle problematiche che Paul presenta».

Il giovane immigrato, sbarcato in Italia alla ricerca di un futuro migliore, era in fuga da una situazione di grave pericolo che coinvolgeva la sua famiglia e il villaggio dove viveva, questo gli ha garantito la protezione internazionale, permettendogli di restare regolarmente nel nostro Paese. A Jesi, però, non è riuscito a realizzare ciò che sperava, non si è inserito nel contesto lavorativo né nel tessuto sociale, conducendo una vita di povertà, senza fissa dimora.

Paul all’aeroporto

Ad aggravare la situazione, a gennaio del 2021, una bruttissima ustione che ha compromesso tutta la gamba destra e metà della sinistra, provocandogli ferite che per lo stile di vita che conduceva non potevano esser curate nel modo adeguato. Numerosi gli interventi dei volontari Caritas e del Servizio sanitario per convincerlo a sottoporsi alle medicazioni, ai colloqui con gli psicologi e alle terapie per la dipendenza dall’alcol.

«Il caso di Paul era molto complesso – ha spiegato Franco Pesaresi, direttore di Asp Ambito 9 -, abbiamo dovuto fare i conti con condizioni di povertà estrema, un carattere ribelle e problemi di salute, per cui era difficile un intervento risolutivo. Fondamentale è stato il lavoro di squadra che ci ha permesso di effettuare un monitoraggio continuo, di seguirlo anche a distanza per sapere dov’era, offrirgli assistenza quando necessario e soprattutto ottenere quel dialogo che gli ha permesso di scegliere di tornare a casa».

Il villaggio dove vive la famiglia di Paul

Per molti immigrati il rimpatrio equivale a una sconfitta. Sconfitta che non coinvolge solo il protagonista ma anche la famiglia d’origine, che lo vede tornare a mani vuote mentre su di lui aveva riposto sogni e speranze. Prezioso il lavoro degli psicologi dell’Ast e della Caritas nell’accettazione della soluzione migliore per lui.

«Paul non avrebbe resistito a un altro anno in strada – ha spiegato Marco D’Aurizio -, la ferita che non si rimarginava, la dipendenza dall’alcol, la sofferenza del fallimento. Fattori che lo avrebbero portato a perdere la vita. Prima di partire è stato sottoposto a un trattamento intensivo di disintossicazione dall’alcol. Abbiamo riconsegnato alla famiglia un Paul dignitoso».

I familiarii di Paul

«I familiari dopo un primo momento di diffidenza ci hanno accolto nel loro villaggio, aprendoci le porte delle loro baracche forse vergognandosi della povertà in cui vivono, ma offrendosi di prendersi cura di Paul. Soprattutto il fratello che ha promesso di prenderlo in custodia e portarlo a lavorare nel suo negozio di indumenti ad Accra – ha spiegato Gabriele uno dei dipendenti di Caritas Jesi che lo ha accompagnato nel viaggio -, a loro abbiamo lasciato anche molti medicinali forniti dall’Azienda sanitaria sia per curare la ferita sia per la dipendenza. Se seguiranno le nostre indicazioni, Paul potrà farcela e riprendere una vita dignitosa. Con loro continuiamo a tenerci in contatto».

«In questo caso il lavoro di rete dei servizi territoriali pubblici e privati, è stato fondamentale per aiutare Paul prima nel prendere la decisione di dove vivere poi nelle pratiche di rimpatrio che hanno dovuto affrontare i paletti della burocrazia e andare avanti anche quando sembrava impossibile trovare la via giusta», ha sottolineato Gianfranca Schiavoni, presidente di Asp9.

Paul rappresenta il terzo caso di rimpatrio qui a Jesi, nel giro degli ultimi 6 anni, non molto tempo fa una storia simile era toccata a Marxford, anche lui originario del Ghana, accompagnato a casa dai volontari Caritas.

«Vi chiederete che senso ha impiegare tutte queste forze per aiutare una sola persona – ha detto il vicesindaco Samuele Animali – il senso sta nel fatto che le persone a cui forniamo assistenza non sono numeri ma umanità che porta una storia, un bagaglio personale, di cui dobbiamo farci carico se vogliamo essere veramente una comunità».

«Nella storia di Paul ho assistito al continuo scambio di messaggi tra gli operatori per controllare dov’era, messaggi sul meteo quando d’inverno faceva troppo freddo e lui voleva dormire all’aperto sotto la tettoia di Campo Boario, messaggi sulle condizioni di salute: se fosse necessario medicarlo, scambio di comunicazioni con le Forze dell’ordine affinché sorvegliassero senza allontanarlo perché non volevamo rischiare di perderne le tracce. A Jesi Paul ha trovato una carità 2.0, una squadra pronta ad aiutarlo, con una professionalità che non si improvvisa».

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