Attualità
JESI Spostamento obelisco: da anni Cassio Morosetti attendeva una risposta
4 Settembre 2020
Piazza della Repubblica verrebbe a configurarsi nuovamente come il salotto buono ottocentesco della città, con la fontana
JESI, 4 settembre 2020 – Da 14 anni Cassio Morosetti attendeva una risposta. Il quindicesimo sarà decisivo.
Il 12 marzo scorso, in piena pandemia, in un ospedale di Milano muore a 98 anni – come tanti, purtroppo, specie di quell’età, in quei tempi e luoghi divenuti spaventosi – Cassio Morosetti, il celebre vignettista jesino.
Il 22 luglio viene registrato il suo testamento che sorprende per un lascito di due milioni di euro al Comune di Jesi, a condizione che entro un anno la fontana venga ricollocata in piazza della Repubblica. Tutti ne parlano. La notizia va in cronaca nazionale su Repubblica e sul Corriere della Sera. Ma non è affatto una novità, è piuttosto una straordinaria, toccante conferma.
La lettera del 2006 a Gatti
In realtà sono passati ben quattordici anni da quando Cassio Morosetti ha avanzato per la prima volta la proposta di finanziare il ripristino di fontana e obelisco nella sede originaria di Piazza della Repubblica. Nel 2006 in città si sta svolgendo un gran dibattito attorno al progetto del Contratto di Quartiere, promosso dall’Amministrazione comunale per rivitalizzare il Centro Storico. Il Rotary annuncia che collaborerà finanziando il restauro del monumento in piazza del Duomo, da tempo in stato di abbandono e degrado. Un personaggio intraprendente e attento com’era Massimiliano Gatti coglie l’occasione per rilanciare su Jesi e la sua Valle la proposta di “rimettere le cose a posto” (il titolo a pg.34 del n. 20, 2006) “ridando alle due piazze il loro aspetto originario”.
A seguito di questo “appassionato intervento” Cassio Morosetti – storico lettore e collaboratore per anni della rivista, altrettanto appassionato osservatore di cose jesine – scrive una bella lettera non alla rivista ma al “Caro Massimiliano Gatti” (dandogli del lei) per dirgli chiaro: «Se l’ostacolo è solo finanziario, visto che il Rotary paga i lavori di restauro della fontana, eccomi qua brutalmente: i soldi per il solo spostamento li metto io. Me lo posso permettere». La proposta dei soldi è nuova e dirompente, lo sa. Ma non è nuovo il suo interessamento per la “fontana”, tanto che inizia la lettera ricordando che «a metà degli anni Ottanta, in tema, con una lettera a “Voce” innescai un vivace confronto con il Sindaco, alcuni uomini di cultura, Giuseppe Luconi, il Centro Calamandrei e altri: tutti d’accordo sul ripristino originale, ma alla fine nulla di fatto, credo per questioni di priorità economiche».
Sarebbe interessante recuperare anche questa testimonianza su Voce. Ma risulta già evidente che la sua non è stata mai una proposta-pretesa calata dall’alto, uno sfizio, un capriccio, una “provocazione d’artista” come anche di recente si è alluso. Piuttosto, Morosetti si è inserito sempre, con discrezione, nei dibattiti in corso sulla vexata quaestio che, almeno nel passato, coinvolgevano diversi esponenti della vita cittadina a vari livelli.
Alle loro motivazioni di natura storica, urbanistica, sociale, estetica, aggiungeva con una confidenza disarmante le sue motivazioni personali, intime, esistenziali, queste sì frutto di una sensibilità poetica, d’artista: «Lo capisco, non avrei voce in capitolo per questi argomenti. Ma nei diciotto anni vissuti fra queste mura ho la sensazione che si concentri l’essenza, un’ipotesi di felicità, altrimenti smarrita, della mia esistenza».
E spiegava così questa sua “ostinazione per la fontana”: «Mi conforterebbe, nell’addio, che il paesaggio (mentale) è intatto, come allora, quando attorno al manufatto rumorosamente zampillante giocavo con i miei amichetti e mio padre felice veniva a cercarmi per la cena. Mio padre apriva le vetrine del ristorante Italia e del Caffè Grande sulla piazza, almeno fino al 1935 quando morì».
“Scempio urbanistico e architettonico”
Un’esigenza psicologica del tutto rispettabile, ma dai connotati prettamente individualisti, quasi solipsistici? Non direi. A mio parere essa corrisponde per certi aspetti alla conclusione a cui è arrivato sull’argomento l’architetto Fabio Mariano, già professore presso la Facoltà di Ingegneria di Ancona, il più autorevole storico dell’architettura jesina: «Può veramente considerarsi uno scempio urbanistico e architettonico l’aver divelto questo dignitosissimo monumento dal suo luogo deputato per depositarlo in uno spazio a lui non consono. Un malinteso senso del progresso, giustificato in parte dall’indigenza economica e culturale del dopoguerra, può aver spinto allora a tale decisione. Ma oggi i risultati di tale miopia civile sono sotto gli occhi di tutti (…) Oggi ci sembra necessario riportare l’attenzione sulla opportunità di ricostruire l’unità spaziale della ottocentesca piazza del teatro, restituendole la sua maltolta fontana. Tale ricostituzione di immagine è legittima non solo sotto il profilo della tutela di una parte significante della storia urbanistica della città ma anche per il concreto valore simbolico che tale manufatto rappresenta per l’intero sistema delle piazze storiche di Jesi, ponendosi come elemento conclusivo ed emblematico del processo di espansione storica del tessuto urbano del centro cittadino» (Biblioteca Aperta, 1990 n. 1, pg. 65; JESI Città e architettura,1993, pg.168).
Tra il sogno del “paesaggio mentale intatto, come allora” di Morosetti e “la ricostituzione di immagine” auspicata dal prof. Mariano si può cogliere una suggestiva rispondenza. Tale da rendere comprensibile l’ingente investimento personale, finanziario, del donatore e da giustificare in pieno l’accettazione e l’impegno dell’Ente pubblico. Senza nessun conflitto, anzi in armonia di interessi tra le parti. Citai questo brano di Fabio Mariano in un mio intervento pubblicato su Jesi e la sua Valle nel gennaio 2007, subito dopo il gesto eccezionale e clamoroso del nostro jesino lontano. Aveva per titolo “Diamoci un tempo per una seria verifica” ed era a pg. 7. Ma a pg. 6 l’assessore Olivi aveva già anticipato in maniera perentoria: «Per ora la fontana resta lì!». Il motivo di questa decisione del Comune era “l’impossibilità di interrompere il complesso iter progettuale del Contratto di Quartiere”: senz’altro plausibile, con i lavori avviati. Anche perché, contestualmente, l’assessore assicurava che «nulla impedisce che in futuro, nell’ambito di ulteriori progetti di sistema, l’eventuale spostamento del manufatto si collochi all’interno di una rivalutazione dello spazio architettonico della piazza». Che corrisponde appunto alla situazione attuale, con il progetto di rifacimento di Piazza della Repubblica programmato dall’Amministrazione comunale.
Il restauro del manufatto venne presentato il 1 settembre 2007 alla cittadinanza, prima in pinacoteca e poi con spettacolo e brindisi in piazza attorno alla “Fontana dei leoni”. Nell’ elegante pubblicazione stampata per l’occasione, la direttrice della pinacoteca Loretta Mozzoni – tra gli artefici del progetto di collaborazione Comune/Rotary- traccia un excursus storico, tanto gradevole quanto sapiente, sul monumento.
Tra l’altro accenna alla variante dell’obelisco (doppiamente falso, ma questo è un discorso a parte) attribuendolo ad un fantomatico “ingegnere pontificio”, tal prof. Livoni. Ma soprattutto scrive che: «L’immagine della fontana è stata penalizzata nella sua percezione monumentale dalla decisione, intempestiva sul piano delle motivazioni e impropria su quello urbanistico, di cambiarle posizione, spostandola da Piazza della Repubblica a Piazza Federico II». Sul piano urbanistico, in particolare, «la fontana era nata come punto focale di uno spazio centralizzato, Piazza della Repubblica, di cui costituiva l’asse verticale posto all’incrocio delle diagonali. Collocata in uno spazio longitudinale perde in un colpo solo la funzione di asse prospettico e la predominanza volumetrica. In breve costituisce un elemento centralizzante anomalo che entra in rotta di collisione con lo spazio longitudinale di Piazza Federico II» (La fontana dei leoni di Jesi, 2007, pg.18-19).
Un’identità alle due piazze storiche
Questi contributi di analisi del prof. Fabio Mariano e della dott.sa Loretta Mozzoni costituiscono “pareri tecnici” qualificati e motivati, da tenere ben presenti nel momento della decisione politica che si annuncia particolarmente difficile, complessa, impegnativa per tempi, modalità e procedure. Anche perché, oltre al problema della ricollocazione del manufatto, si pone quello conseguente di ridare un’identità alle due principali piazze del centro storico. A mio parere, Piazza della Repubblica verrebbe a configurarsi nuovamente come il salotto buono ottocentesco della città, con la fontana che non solo si raccorda con le dimensioni spaziali della piazza e la decorazione lapidea dei suoi principali palazzi, ma che vivacizza con il suo zampillio gli incontri, le conversazioni e consumazioni ai tavolinetti dei bar, l’entrata e l’uscita del pubblico dal teatro…
Piazza Federico II, il cuore della città, forse l’antico forum romano, tornerebbe ad essere la nostra “Piazza del Campo”, lo spazio più grande, più funzionale e scenografico per manifestazioni di ogni genere, civili, religiose, culturali, artistiche, commerciali, ludiche, sportive. Per questo si renderebbe necessario progettare un nuovo assetto e un adeguato arredo urbano, in linea con il raffinato disegno del recente intervento per la pavimentazione della piazza.
Ma escluderei in assoluto ogni tentativo di collocare la statua di Federico II nella piazza, al di fuori dello spazio privato in cui è stata sistemata e in cui può continuare a svolgere, nel rapporto con il museo multimediale, l’unica funzione iconica attribuibile ad un’opera così connotata sul piano formale. Altrimenti, se questa fosse la prospettiva futura – quel Federico II in questa piazza – sarebbe preferibile che tutto restasse così com’è! Mi rendo conto che in ciò dissento da quanto scritto nella stessa lettera dallo stimatissimo Morosetti e su queste stesse pagine, nel suo vivace e puntuale osservatorio del “Palazzo e dintorni”, dall’amico Vittorio Massaccesi.
Con cui invece concordo in pieno sulla necessità ineludibile di ottenere un anno di tempo per l’eventuale iter procedurale, amministrativo e burocratico, aggiungendo un altro anno per la sua realizzazione. Il tutto dovrebbe essere completato e inaugurato entro luglio 2022, festeggiando così anche i 100 anni di Cassio!
Sembrerebbe questa la soluzione logica, rispondente alla volontà sostanziale del donatore. Ma, se questo rinvio non fosse consentito sul piano giuridico, crollerebbe ogni progetto e sarebbe l’ultimo smacco per il nostro grande, amabile Morosetti che si è battuto quattordici anni, sino alla fine, per lasciare un segno di bellezza e di armonia, condiviso da tanti, nella sua città natale ( è evidente, infatti, che questa o quell’altra soluzione testamentaria per lui pari non erano e non sono…).
In ogni caso, il quindicesimo anno, il 2021, sarà decisivo e conclusivo per il sogno di Morosetti e per la sua, la nostra “fontana”.
Franco Cecchini
(Voce della Vallesina)
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